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COVID E “CHOLERA”!

Le origini della processione a San Colombano di inizio maggio.
La prima comparsa del morbo, nel 1835, fino alla terribile epidemia di vent’anni dopo.
La scarsa igiene e i tentativi di rimedio praticati all’epoca.

 

Maggio 2020: sono 184 anni che la popolazione di Illasi, in processione, si reca al Santuario della Madonna di San Colombano.

Questa devozione fu istituita dal parroco don Vincenzo Ruzzenente, su sollecito della popolazione e in accordo con le autorità comunali, sull’onda dell’epidemia di cholera.

Era l’anno 1835 e durante l’estate cominciano ad arrivare le prime notizie dai paesi del circondario che il “cholera vinaccia” (dato dal colore delle feci) stava mietendo vittime.

L’anno dopo in luglio, Illasi fu coinvolto nell’epidemia. La prima persona colpita a morte è di passaggio: “19-7-1836 Perini Francesco 30 anni di Colognola, questo infelice fu colpito dal cholera in Illasi, morì nella contrada di Ghiara in casa di Sebbastian Perotta al n° 177.

La morte venne partecipata al Reverendo Parroco locale di Colognola con lettera in data 20-7-1836”. Poi seguirono altre vittime, per un totale di 8, tutte comprese tra Giara, Prognolo e una di Capovilla, la più giovane di 23 la più vecchia di 63 anni. Non sembrano tante, ma la paura fu enorme tanto da voler far intervenire la Madonna con la promessa devozionale della processione al santuario.

I registri parrocchiali, i soli validi anche per le autorità politiche austriache, annotano da sempre tutte le morti con accanto la causa del decesso. Non che problematiche di malattie relative all’apparato digerente come il cholera mancassero a Illasi. Gastro epatite, gastro enterite, gastrite verminosa, enterite con verminazione e dissenteria: erano tutte cause di morte, prima e dopo la comparsa certificata del cholera. La causa probabile di tutto questo era senza dubbio la scarsa igiene e la mancanza di acqua potabile. L’approvvigionamento di questo indispensabile elemento era garantito dal lago al centro dell’attuale Piazza e da altri minori sparsi per il territorio. Si è a conoscenza anche di pozzi contradali.

La pulizia di questi luoghi era una priorità per il Comune: si doveva togliere la melma che si formava nel fondo, “fetida materia”, estirpare le piante acquatiche e le alghe. Fu trovato anche “un gatto infracidito”.

Si arrivò persino all’acquisto di una “lingozza”, cioè di una rete per la cattura delle rane nei laghi sparsi nel comune.

Furono fatte pressioni affinché i Conti Pompei restaurassero il “conduto”, canale che portava l’acqua nascente ai Finetti di Tregnago fino ai due parchi nobiliari e poi nel lago comunale. Fatica quasi improba in periodo di “suta” ovvero di siccità.

Passata la crisi del 1836 e del 1849 con solo due morti per cholera, si arriva al 1855 e qui fu il disastro. I morti sono anche una decina al giorno, quasi tutti di luglio, qualcuno ai primi di agosto. Il parroco o un suo scrivano non riescono a tenere il ritmo nelle registrazioni, si sbagliano le date di morte e addirittura il conteggio totale, tanto che alla fine dell’anno si ricorre ad un errata corrige.

Le morti totali, comprese quelle per normale accadimento, che nella media annua erano poco meno di quaranta, arrivano a 203, però il parroco si corregge ricontando fino a 196, comunque tanti.

Il paese è nel caos. Le sepolture vengono fatte alla mattina prestissimo, per limitare il pericolo di contagio.

Il Comune intensifica le bonifiche dei depositi di acqua e aumenta la ricerca di acqua potabile nelle sorgenti di Cellore e a Pagnaghe di Tregnago, dove un certo Aldegheri prima è contrario poi si accontenta del ristoro di eventuali danni.

Qualche anno dopo, il Comune, allarmato perché molto attento alle brutte notizie che giungono dalla provincia, prende la decisione di costringere i proprietari di case a costruire i “cessi” per tutte le abitazioni: dovranno essere tolti i “luamari” dalle corti e le fosse di scolo degli acquai delle cucine dovranno essere coperte.

Si ordina, sempre ai proprietari, di obbligare i propri inquilini a non gettare per strada dalle finestre “gli escrementi solidi e liquidi umani”.

Restava comunque sempre il ricorso alla Madonna di San Colombano. Il parroco di allora scrive: l’epidemia “come era venuta se ne andrà”, probabilmente con l’intervento salvifico della Madonna e con l’aiuto di un minimo di igiene in più e qualche pioggia.

Da quegli anni la processione fu sempre fatta, non si fermò neanche per le guerre o per le condizioni meteorologiche. Fino a quest’anno…

 

di Lino Pozzerle

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